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80 anni di libertà: ricordare, resistere, scegliere

Copertina: 80 anni di libertà — 25 aprile

Oggi, 25 aprile 2025, l’Italia celebra l’80° anniversario della sua Liberazione dal nazifascismo. Ottant’anni: il tempo di una vita intera. Eppure il sangue, il coraggio, la disperazione e la speranza che attraversarono quei giorni non sono polvere da archivio, ma linfa viva che ancora scorre nelle vene della nostra Repubblica.

Quel 25 aprile del 1945 non fu soltanto la fine di un’occupazione straniera, né unicamente la sconfitta del regime fascista. Fu, soprattutto, una scelta collettiva. L’Italia decise di essere libera, democratica e antifascista. A farlo non furono solo generali o leader politici, ma donne e uomini comuni: ragazze e ragazzi di vent’anni, operaie e contadine, insegnanti e studenti, partigiane comuniste e cattoliche, azionisti, anarchici, semplici cittadini che presero in mano il proprio destino. Combatterono con le armi, ma anche con la parola, con la solidarietà, con la fame e la paura nel cuore. La Resistenza fu, prima ancora che una lotta militare, una rivoluzione morale.

Da quella lotta nacque la Costituzione. Una Carta che ripudia la guerra, tutela il lavoro, garantisce il diritto di sciopero, la libertà di stampa e di pensiero, la possibilità di manifestare e di essere sé stessi. Per questo, ogni 25 aprile non ci limitiamo a ricordare: riaffermiamo. Riaffermiamo che l’antifascismo non è una bandiera di parte, né un’opzione ideologica, ma il fondamento stesso della nostra convivenza civile.

Eppure, non possiamo ignorare il lento, ma evidente, logoramento di quelle libertà conquistate con il sacrificio delle generazioni che ci hanno preceduto. Il governo Meloni, espressione di una destra post-fascista che non ha mai fatto pienamente i conti con la propria storia, alimenta un clima sempre più ostile al dissenso. Il recente Decreto Sicurezza, approvato il 4 aprile 2025, introduce misure che rendono più semplice reprimere manifestazioni pubbliche e raduni spontanei. Amnesty International ha già lanciato l’allarme: il diritto fondamentale alla protesta pacifica è in pericolo.

Negli ultimi mesi, studentə e operaə che manifestavano per il diritto allo studio, contro il carovita, per salari dignitosi e per la giustizia climatica si sono ritrovatə schedatə, caricatə, multatə. Nelle università si tenta di impedire assemblee, negli spazi pubblici si vietano cortei anche pacifici. Non si tratta più di sicurezza pubblica: è controllo politico.

Anche la libertà di stampa è sotto pressione. L’Italia ha perso posizioni nelle classifiche europee ed è finita sotto osservazione da parte di più organizzazioni internazionali. Il Media Freedom Report 2024 ha segnalato il crescente accentramento politico sulla RAI, con nomine pilotate, forme di censura indiretta e un clima di intimidazione verso i giornalisti critici. Scrittori come Roberto Saviano sono stati querelati da esponenti del governo per opinioni espresse pubblicamente. È questo il pluralismo che la Costituzione garantisce?

A tutto questo si aggiunge una ferita storica mai davvero rimarginata. Dopo il 1945, l’Italia non ha mai affrontato fino in fondo il proprio passato fascista. Non ci fu alcuna “Norimberga italiana”. Mentre la Germania riconosceva i propri crimini e processava i responsabili anche decenni dopo, l’Italia preferì voltare pagina in fretta. Molti fascisti cambiarono divisa, si riciclarono nelle istituzioni, attesero tempi più favorevoli.

L’amnistia Togliatti fu il velo calato su un’epoca che non si volle giudicare davvero. Così, oggi, nel cuore della Repubblica, siedono figure politiche che non rinnegano il fascismo, che lo minimizzano, che ne riprendono linguaggi, simboli e metodi. L’assenza di una memoria condivisa ha aperto un varco attraverso cui il passato ritorna, sotto nuove forme e parole.

Per questo, a ottant’anni dalla Liberazione, il nostro dovere è doppio: ricordare e resistere. Ricordare la Resistenza non come una favola eroica, ma come una scelta concreta, dolorosa e radicale per la libertà. E resistere oggi contro chi, con leggi, manganelli o propaganda, tenta di svuotare quella libertà dall’interno.

Non possiamo più permetterci la tiepidezza. Oggi come allora serve coraggio. Serve scegliere da che parte stare. In nome di chi cadde gridando “Viva l’Italia antifascista”, in nome di chi ha costruito una democrazia imperfetta ma reale, e soprattutto in nome di chi verrà dopo di noi.

Perché se oggi lasciamo che i diritti tacciano, domani sarà la Storia a gridare.

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