Ci ossessioniamo con l’immigrazione, come se fosse il problema centrale, mentre ignoriamo ciò che davvero ci sta soffocando: l’emigrazione, soprattutto dei giovani qualificatə, che scappano da un Paese che spesso li mortifica. Non è solo colpa della politica, ma di un’intera società che ha scelto, in larga parte, di sprofondare nella mediocrità e nel degrado.
Secondo i dati più recenti, nel 2024 circa 156.000 cittadinə italianə hanno effettivamente lasciato il nostro territorio per stabilirsi all’estero, un aumento del 36,5 % rispetto all’anno precedente, portando il totale degli espatri a quasi 191.000 persone, il valore più alto degli ultimi 25 anni. E tra coloro che si sono trasferitə, più di un terzo aveva un’età compresa tra i 25 e i 35 anni; molti avevano una laurea – parliamo di un esodo di cervelli senza precedenti. Solo un laureato su tre (circa 97 000 in 10 anni) ha scelto di rimanere nel Paese.
Non è una questione astratta: è una ferita aperta. In dieci anni, oltre un milione di italianə ha cercato fortuna altrove; meno della metà è tornatoə e, in particolare, tra i laureatə, il bilancio è fortemente negativo. E pensiamo a quantə maturə tra gli undici e i diciannove anni desiderano già andarsene: il 34 %, secondo un sondaggio Istat.
Si vorrebbe cacciare l’immigrazione, mentre il vero danno lo stiamo auto-infliggendo lasciando fuggire chi potrebbe salvarci. La natalità è al minimo storico (meno di 370 000 nascite nel 2024) e l’Italia si proietta verso un futuro spaventoso, con una popolazione che potrebbe calare drasticamente nei decenni a venire.
Viviamo in un Paese che disprezza il talento e il merito, che premia gli incapaci e gli incompetenti. Qui il successo non dipende dalla bravura, ma dalle conoscenze giuste, dal nepotismo, dalla corruzione. Chi è preparatə e ha ambizioni viene guardatə con sospetto; chi sa urlare più forte o sapientemente adattarsi – o accontentarsi dell’ignoranza – spesso trova spazio. Un Paese che non investe seriamente nella ricerca, nell’innovazione, nella cultura, che considera i giovani solo manodopera sottopagata, forza lavoro da sfruttare, senza mai valorizzarne pienamente il potenziale.
E il problema non è solo economico. Manca una cultura del rispetto, dell’onestà, della curiosità intellettuale. È assente una società che sappia riconoscere la competenza e la conoscenza come tesori da custodire. Gli italianə si lamentano di chi arriva, ma raramente si chiedono perché i più brillanti decidano di andarsene.
Il motivo è semplice, anche se crudo: questo è un Paese che fa schifo, abitato da troppe persone che lo trascinano verso il basso. Un Paese che ha scelto di rimanere indietro, schiavo della propria stupidità. E chi ha competenze, ambizioni, dignità se ne va – lasciando l’Italia nelle mani di chi l’ha ridotta così: politicə incapaci, imprenditorə senza scrupoli, burocratə corrottə, e un tessuto sociale che sembra rassegnato al degrado.
Se non cambiamo mentalità, se continuiamo a lasciare spazio agli ignoranti, a chi vuole solo distruggere anziché costruire, l’Italia non avrà futuro. E forse è proprio questo che molti desiderano: sprofondare, trascinando con sé chi avrebbe potuto salvarla. Se l’Italia resta un Paese che respinge chi vuol creare ma premia chi distrugge, il declino non sarà la fine: sarà solo l’inizio.