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Perché abbiamo bisogno dell'educazione sessuo-affettiva?

Copertina: Perché abbiamo bisogno dell'educazione sessuo-affettiva

Piuttosto che progettare un nuovo “liceo del Made in Italy”, iniziativa che, secondo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dovrebbe “formare i giovani per dare continuità a una serie di settori della nostra economia”, oggi, più che mai, servirebbe introdurre in tutti i percorsi scolastici una materia strutturata e obbligatoria di educazione sessuale e affettiva.

Non si tratta di un vezzo progressista, ma di una necessità sociale e culturale. L’analfabetismo emotivo e relazionale di ampie fasce delle nuove generazioni è sotto gli occhi di tutti: ragazzi e ragazze che ridono di fronte a comportamenti abusivi, che li interpretano come segni di forza o virilità, e che considerano la vulnerabilità un difetto da nascondere dietro una maschera di durezza. Questa deriva va affrontata lì dove gli adolescenti trascorrono la maggior parte del loro tempo: a scuola.

In un Paese come l’Italia, dove il diritto all’aborto è ancora ostacolato da un’alta percentuale di medici obiettori e realtà pro-vita, dove la distribuzione gratuita dei contraccettivi è disomogenea e l’informazione sulla prevenzione rimane carente, l’educazione sessuale è ancora percepita come un tabù. Basta guardare oltreconfine per capire quanto siamo indietro: in Germania è obbligatoria dal 1968, in Svezia dal 1955, in Danimarca, Finlandia e Austria dagli anni Settanta, in Francia dal 1998.

E poi ci sono i Paesi Bassi, dove l’educazione sessuale e affettiva comincia fin dalla scuola dell’infanzia con il programma “Comprehensive Sexuality Education” (CSE), sostenuto da Nazioni Unite, UNESCO e UNFPA. Lì è considerata un diritto fondamentale, insegnata in modo scientifico e inclusivo. In Italia, invece, parlare di “sesso” in relazione ai bambini è ancora un tabù inviolabile. L’ingenuità infantile è vista come un valore da preservare a tutti i costi, ma questa idea finisce spesso per impedire che i più piccoli ricevano risposte corrette e adeguate alle loro domande.

Perché i bambini, ingenui o meno, si pongono domande. E raccontare di cicogne o angurie nella pancia non serve a nulla, se non a confondere. Gli studi internazionali più recenti, come quelli pubblicati dall’OMS nel 2023, confermano che la mancanza di educazione sessuale contribuisce all’aumento delle gravidanze adolescenziali e alla diffusione di malattie sessualmente trasmissibili, dall’HIV all’HPV.

Il caso nederlandese lo dimostra: grazie a un’educazione sessuale approfondita e continua, i Paesi Bassi registrano uno dei più bassi tassi di gravidanze adolescenziali in Europa. L’Italia, invece, resta tra i pochi Stati membri dell’UE, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania, a non aver reso obbligatoria l’educazione sessuale. Dalla fine degli anni Settanta, sono state presentate decine di proposte di legge, tutte naufragate.

La resistenza, in gran parte, viene dall’area cattolica e da quella conservatrice. Nel 2011 Papa Benedetto XVI definì la partecipazione ai corsi di educazione sessuale “un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie”. Papa Francesco, nell’Amoris Laetitia, ha mostrato maggiore apertura, ma gruppi come ProVita & Famiglia, Movimento per la Vita e altre associazioni ultraconservatrici continuano a bollare ogni iniziativa scolastica in materia di sessualità e affettività come “ideologia”.

Eppure, l’educazione sessuale non è ideologia. È conoscenza, consapevolezza, libertà. Significa insegnare che il sesso esiste, che esistono organi genitali, orgasmi, contraccettivi, gravidanze, aborto, malattie sessualmente trasmissibili, relazioni eterosessuali e omosessuali. Significa dare strumenti per capire, nascondere queste realtà non protegge, ma danneggia.

Oggi, in assenza di programmi nazionali uniformi, l’educazione sessuale nelle scuole italiane è affidata a consultori o associazioni locali, con risultati estremamente disomogenei: si va da approcci scientifici e inclusivi a corsi moralistici e punitivi, spesso discriminatori verso le persone LGBTQ+. In questo vuoto educativo, l’altra grande “insegnante” di sessualità è il porno.

Secondo un’indagine ISTAT-Save the Children (2024), oltre il 70% dei ragazzi tra i 13 e i 15 anni ha già visto pornografia online. Molti lo fanno senza sapere cos’è il clitoride, né distinguere realtà da finzione. Il problema non è il porno in sé, se fruito da persone consapevoli, ma il fatto che, per i più giovani, diventi il modello principale di riferimento. E quando l’88% dei contenuti pornografici contiene scene di violenza fisica o verbale (schiaffi, strangolamenti, umiliazioni), il passo per considerare questi comportamenti “normali” è breve.

Portare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole in modo serio, continuo e aggiornato non è un capriccio: è una misura di salute pubblica, di tutela, di giustizia sociale. La CSE riduce le gravidanze adolescenziali, previene l’HIV, promuove la parità di genere e protegge i giovani dall’abuso. Lo dimostra la sua efficacia anche in Paesi africani colpiti duramente dall’AIDS.

Conoscere è potere. Potere di scegliere, di proteggersi, di amare con rispetto e consapevolezza. Potere di distinguere il consenso dalla violenza. Potere di non restare incinta o contrarre malattie prima della maturità. La censura, l’oscurantismo e le paure moraliste non proteggono: isolano e feriscono. Solo l’educazione rende davvero liberi.

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