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Un nuovo attacco ai diritti mette alla prova la tenuta democratica dell’Unione Europea

Copertina: Ungheria, attacco ai diritti LGBTQ+ e sfida alla democrazia UE

Il 14 aprile 2025, il Parlamento ungherese ha approvato un emendamento costituzionale che segna una svolta drammatica e senza precedenti nella legislazione del Paese: viene vietata ogni forma di manifestazione legata ai diritti LGBTQ+, incluso il tradizionale Pride di Budapest, e si elimina il riconoscimento legale delle persone transgender e intersessuali. Con 140 voti favorevoli e soli 21 contrari, la maggioranza parlamentare ha dato via libera a un provvedimento che non colpisce soltanto le comunità direttamente interessate, ma infligge un colpo frontale ai principi cardine su cui si fonda l’Unione Europea: libertà, uguaglianza, dignità umana e Stato di diritto.

Questa mossa non è un episodio isolato, ma l’ennesima tappa di una strategia lucida, metodica e di lungo respiro portata avanti dal governo di Viktor Orbán. Negli ultimi anni, l’Ungheria ha assistito a una costante erosione delle garanzie democratiche:

  • Indipendenza della magistratura ridotta attraverso nomine politiche e riforme “su misura” per consolidare il controllo governativo;
  • Libertà di stampa compressa in un panorama mediatico sempre più monopolizzato e uniformato alla linea ufficiale;
  • Società civile delegittimata e criminalizzata, con ostacoli normativi e finanziari volti a indebolire ONG, associazioni e movimenti;
  • Dissenso politico marginalizzato e reso irrilevante attraverso regole e pressioni che ne limitano l’azione.

I dati parlano chiaro: oggi l’Ungheria si colloca all’ultimo posto tra gli Stati membri dell’UE negli indici internazionali che misurano la qualità della democrazia e la tutela delle libertà fondamentali. Un posizionamento che la avvicina più a Paesi come Serbia e Turchia, dove lo Stato di diritto è sottoposto a logiche apertamente autoritarie, che non ai partner europei con cui formalmente condivide trattati, valori e obiettivi.

Di fronte a questa deriva, l’Unione Europea non può rifugiarsi nell’ambiguità o in un prudente attendismo diplomatico. Non siamo di fronte a una semplice divergenza politica tra governi: è in gioco la solidità stessa dell’architettura democratica europea. Lo Stato di diritto non è una clausola accessoria né un concetto astratto da invocare nei discorsi ufficiali; è la condizione imprescindibile che garantisce a ogni cittadino, in qualunque Stato membro, gli stessi diritti, le stesse libertà e la stessa protezione giuridica.

Per queste ragioni, la Commissione Europea dovrebbe attivare senza esitazione i meccanismi previsti dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, valutando anche la sospensione di specifici diritti derivanti dallo status di Stato membro per l’Ungheria. Parallelamente, Parlamento e Consiglio devono assumere una posizione chiara, condivisa e inequivocabile. Ogni esitazione, ogni compromesso al ribasso, ogni silenzio istituzionale non fa che legittimare e rafforzare chi lavora dall’interno per indebolire i valori fondanti dell’Unione.

Difendere i diritti significa difendere la democrazia. Se l’Unione Europea vuole restare una casa comune di libertà e giustizia, deve dimostrarlo con azioni concrete, ferme e coerenti. I valori su cui si regge non sono merce di scambio nelle trattative politiche: sono il suo stesso fondamento. Ed è proprio nei momenti di crisi come questo che si misura la capacità di un’istituzione di essere fedele alla propria ragion d’essere.

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